giovedì 19 febbraio 2015

Quando i livelli di fear appeal non sono ben calibrati

Equipaggiati delle maggiori teorie sull'uso della paura nella pubblicità di prevenzione, siete pronti per analizzare con me due pubblicità che non calibrano nel modo opportuno il fear appeal. 
La prima pubblicità è un esempio di fear appeal troppo elevato. Si tratta della campagna pubblicitaria contro il fumo attuata in Italia attraverso i messaggi scritti sui pacchetti di sigarette che esplicitano i danni provocati dal fumo. Essi sono estremamente minacciosi; ne è un chiaro esempio la frase "Il fumo uccide", che richiama con forza il tema della morte. Ci sono buone probabilità che il fallimento di questa campagna sia proprio dovuto al fatto che il threat appeal e il fear appeal raggiungono livelli talmente elevati da indurre il soggetto a continuare a fumare, dimostrandosi capace di contrastare il terrore della morte (Taubman, Florian & Mikulincer, 2000)
Quante volte, del resto, abbiamo sentito un fumatore dire: "Ma figuriamoci se morirò per queste sigarette!! A me non succederebbe mai."? Capita anche di sentire argomentazioni di questo tipo: "Conosco persone che hanno fumato più di me e a 90 anni sono ancora vive!". Si tratta di argomentazioni auto persuasive tese a ridurre il cosiddetto stato di dissonanza cognitiva, che si genera dal confronto tra le azioni intraprese, come fumare, e la percezione di elevati livelli di rischio, comunicati per esempio da una pubblicità di prevenzione (Festinger, 1997). Viene quindi confermata l'importanza di non utilizzare messaggi troppo minacciosi (threat appeal) poichè la paura che ne consegue (fear appeal) potrebbe causare il rifiuto del messaggio a fini autoprotettivi.

La seconda pubblicità è invece un esempio di fear appeal troppo basso. Si tratta dello spot televisivo contro la violenza sulle donne promosso dal Ministero delle Pari Opportunità all'interno della campagna "Riconosci la violenza".
 

Un'analisi attenta dell'impatto emotivo dello spot, realizzata con l'opportuna griglia di analisi, rivela livelli estremamente bassi di fear appeal: non è presente nessun antecedente emotigeno e, tra le poche espressioni emotive presenti (16 su 30 secondi di video), alcune sono a valenza positiva (ai secondi 26 e 28 la donna sorride). Una ricerca condotta da me e alcune colleghe per il corso di Metodi e tecniche di analisi della comunicazione e dei processi cognitivi ha registrato bassissimi livelli di paura provati da soggetti cui è stato fatto vedere lo spot. Il dato è stato confermato dalla videoregistrazione e codifica delle loro espressioni facciali durante la visione della pubblicità: rispetto a quanto è accaduto in risposta a pubblicità a maggiore impatto emotivo, si registra una minore quantità di unità comportamentali prodotte nelle espressioni facciali dei fruitori. Questo è rivelativo di un'esperienza emotiva poco intensa.
L'inefficacia di un fear appeal così basso emerge dai dati raccolti attraverso un questionario che ha chiesto ai soggetti del nostro campione di scegliere quale tra gli spot visionati avrebbero selezionato per una campagna pubblicitaria. Lo spot della campagna "Riconosci la violenza" non è mai stato selezionato e ciò è in contrasto con il successo riscosso da uno spot concorrente ad alto livello di fear appeal. Questo suggerisce come moderare eccessivamente il livello di fear appeal può essere controproducente rispetto alle intenzioni persuasive (Witte, 1992; Roskos-Ewoldsen, Arpan-Ralstin & Pierre, 2000; Roskos-Ewoldsen & Rhodes, 2004)..

Per eventuali approfondimenti, si consigliano le letture indicate nel precedente post e Festinger, L. (1997). Teoria della dissonanza cognitiva, Angeli, Milano.

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